
Giuliano Scarpinato – Se non sporca il mio pavimento
Prova aperta gratuita
Posti limitati, è richiesta la prenotazione a info@illavoratorio.it
Domenica 13 novembre ore 21
Regia Giuliano Scarpinato – drammaturgia originale Giuliano Scarpinato, Gioia Salvatori – con Michele Degirolamo, Francesca Turrini. In video Beatrice Schiros, Ciro Masella – scene Diana Ciufo – costumi Giovanna Stinga – progetto video Daniele Salaris – Stille – luci Danilo Facco
Progetto vincitore Odiolestate – residenza produttiva Carrozzerie NOT
“UNO: Posso gettare ai suoi piedi il mio cuore?
DUE: Se non sporca il mio pavimento.”
Heiner Muller, Pezzo di cuore
Cronaca e archetipo
Una donna-bambina di mezza età che vive in casa con gli anziani genitori e sogna Antibes. Il padre e la madre. Un adolescente dalle 12 identità facebookiane e in grado di manipolare chiunque gli capiti a tiro. Un parrucchiere di 54 anni dalla personalità labile.
La vicenda dell’assassinio di Gloria Rosboch, l’insegnante di sostegno 49enne sparita nel nulla a Castellamonte (Ivrea) lo scorso 13 gennaio, e poi ritrovata morta, strangolata dall’ex allievo Gabriele Defilippi e dal suo amante e complice Roberto Obert, è già finita da un po’ nello sgabuzzino mediatico , cancellata dal sopraggiungere di atrocità sempre più crescenti in numero ed efferatezza.
Eppure questa vicenda, degna nel suo plot di un melò di Fassbinder, è rimasta impigliata nella mia mente per la forza straordinaria degli archetipi che mette in campo. Due in particolare, per me da sempre di fascino magnetico: Eco e Narciso.
La storia della ninfa chiacchierona dannata da Afrodite ad amare non corrisposta fino alla consunzione delle carni, alla rarefazione in muschio, corteccia, e puro suono, e del suo oggetto del desiderio, il giovinetto perdutamente innamorato della propria immagine riflessa nell’acqua, è scolpita nelle parole delle Metamorfosi di Ovidio. Eco e Narciso sono tra i personaggi più affascinanti di quello che Vittorio Sermonti definisce il poema dell’adolescenza:
“(…) le Metamorfosi di Ovidio sono proprio il poema dell’adolescenza come esperienza della labilità e vulnerabilità dell’identità, mentre il tuo corpo non fa che cambiare, che cambiare te stesso sotto i tuoi stessi occhi. E tu non sai più chi sei. Vorresti amarti di più, ma non sai chi dovrebbe amare e chi vorrebbe essere amato. E senti il tremore della “inespugnabile solitudine” che punisce ogni bellezza, che ogni bellezza si merita.”
Ecco, di questo incastro nel limbo dell’adolescenza, dove le identità si offuscano, si distorcono, tardano a sbocciare, a risolversi, soffrono d’essere ogni giorno diverse e mai concluse, di questo mi sembra ci parli, oggi, la stramba vicenda di Gloria Rosboch e Gabriele Defilippi, e di riflesso degli altri personaggi che contornano la loro vicenda.
L’identità che non si risolve, non si confina, rischia di essere nociva per sé stessa e per l’altro. Distruttiva ed autodistruttiva. Lo straordinario potenziale tragico di questo incastro è ciò che accomuna quella di Rosboch / Defilippi ad altre incredibili storie esplose sui media negli ultimi mesi: da quella, tutta romana, del Collatino, con i suoi tre protagonisti Prato / Foffo / Varani, a quella, recentissima e da noi (solo fisicamente) più lontana, della strage di Orlando, ad opera di un 29enne che in nome dell’Is lascia pagare a 50 ragazzi inermi il prezzo della propria irrisolutezza.
Un altro aspetto accomuna questi tre delitti, oltre al dilemma identitario di chi li compie; l’altro da sé (Rosboch per Defilippi, Varani per Foffo/Prato, i 50 avventori del Pulse per Omar Mateen) diventa agli occhi dell’assassino un oggetto da utilizzare, un corpo da manipolare, un contenitore da riempire a proprio piacimento. L’abitudine al volto, al corpo, alla persona moltiplicata e rarefatta da social ed app di vario genere, sono senza dubbio un ingrediente di grande rilevanza in queste storie.
Moltiplicatori
Tornando al caso Rosboch, pretesto del nostro racconto, come non rimanere colpiti – e perché no, stranamente affascinati – dalle molteplici identità facebookiane di Gabriele Defilippi, ora giovane macho con barbetta e rayban, ora ragazzina con i capelli ossigenati , il trucco pesante e gli abiti striminziti, ora emo malinconico e dark? Tutto è possibile su facebook, twitter , instagram, tutto è modificabile, anche il tempo può tornare indietro. Allora il contatto reale con ciò che davvero è, esiste e respira come fatto ineludibile, diventa un evento, una deflagrazione, qualcosa in cui si può stare scomodi, a disagio.
Di questi slittamenti continui, di queste interferenze e corti circuiti tra realtà della carne e trasparenza del mondo virtuale, mi piacerebbe parlare nella storia che vado a raccontare. Immagino dunque una rappresentazione in cui il corpo reale, presente dell’attore possa in qualsiasi momento dialogare con quello, virtuale, degli altri. Penso all’uso del videomapping come strumento per riprodurre l’invasività di social e altri moltiplicatori virtuali, ma non solo. La videoproiezione sarà anche lo strumento per tradurre in immagini le fantasie, i sogni dei bambini incastrati dentro questi adulti a metà: come quello di Gloria, annotato in francese in alcuni bigliettini, di partire con Gabriele per Antibes, dove avrebbero aperto una nuova azienda per sfuggire al piccolo mondo italiano e ai mormorii del paese.
Scatole cinesi
La proiezione fungerà quindi da moltiplicatore. Non solo delle persone (ai personaggi di Gloria e Gabriele, fisicamente presenti in scena, si aggiungeranno quelli della madre di Gloria, di Roberto Obert, amante di Gabriele, e di Gabriele stesso “smaterializzato” in profili facebook, chat e videochiamate Skype), ma anche dello spazio: nella cameretta di Gloria, luogo di partenza e d’arrivo del nostro viaggio ( che immagino realizzata realisticamente, in sezione, quasi fosse già un “plastico”) entreranno di volta in volta la striminzita cucina da cui la madre le urla i propri rimproveri, il colorato e superkitch salone da parrucchiere di Roberto Obert, la stanza piena di poster e foto di Gabriele: gli spazi del racconto si sovrapporranno in un sistema di scatole cinesi.
Pezzo di cuore
Ciò che affascina dell’archetipo, e di ciò che fatalmente può incarnarlo, come la vicenda di Gloria Rosboch pretesto della nostra indagine, è la forza della sintesi: in poche immagini, o poche parole, un racconto di portata molto più ampia.
Una sintesi mirabile in un breve dialogo di Heiner Muller intitolato Pezzo di cuore :
UNO Posso gettare ai suoi piedi il mio cuore?
DUE Se non sporca il mio pavimento.
UNO Il mio cuore è pulito.
DUE Vedremo.
UNO Non riesco a tirarlo fuori.
DUE Desidera che l’aiuti?
UNO Se non le è di disturbo.
DUE È un piacere.
Non riesco a tirarlo fuori.
UNO piange
DUE Glielo estrarrò. A che servirebbe altrimenti il mio coltello a serramanico. Ce la faremo. Lavorare e non disperare. Ecco, fatto. Ma è un mattone. Il suo cuore è un mattone.
UNO Ma batte solo per Lei.
12 battute lapidarie, sei scambi. Sei movimenti. Mi piacerebbe scandissero il tempo/spazio di questo mèlo. Quasi dei “titoli” in sovra-impressione, proiettati sopra le teste di coloro che “lavorano, e non disperano” per portare a compimento la storia. C’è una fatalità in questo dialogo, ineludibile. Ed un movimento circolare, di copione eternamente ripetuto. La storia di Gloria Rosboch e di Gabriele Defilippi, pretesto del nostro racconto, sembra avere le stesse caratteristiche.
Continuità
Due anni fa, col nascere di un progetto destinato al contenitore del Premio Scenario Infanzia , che sarebbe diventato Fa’afafine – mi chiamo Alex e sono un dinosauro, iniziava per me un importante iter di ricerca sui processi identitari.
La storia di Fa’afafine è quella di un bambino di 8 anni, Alex White, dall’identità di genere fluida; non esattamente maschio né femmina, creatura anfibia “come l’unicorno, l’ornitorinco, i dinosauri”, si imbozzola nella sua stanza per ricrearvi un mondo dove circondarsi dei sorrisi e degli sguardi benevoli dei propri pupazzi, dei suoi sogni di bambino, di aiutanti magici che lo conducano per mano su un pianeta in cui non bisogna scegliere cosa essere.
Il sogno di Alex White si scontra con la dura concretezza dei genitori Susan e Robert, un muro di incomprensione destinato però, alla fine, ad abbattersi; e ad abbattere i muri della stanzetta per andare incontro, con coraggio, ad un mondo , quello di fuori, non certo amichevole.
Mi è sempre stato difficile – lo è ancora – pensare ad una reale distinzione tra teatro ragazzi (tradizionalmente edificante) e teatro tout court (il più delle volte raggelante); credo semplicemente alle storie, e alla loro forza.
Ma la storia di Alex White ha un lieto fine, è innegabile; non sappiamo cosa sarà di lui una volta uscito dalle mura di casa, ma sappiamo che è stato accolto nell’abbraccio rassicurante e protettivo dei propri genitori.
Quello che vorrei compiere con Se non sporca il mio pavimento è un passo ulteriore in questa ricerca sull’identità in formazione. Mi interessa, stavolta, indagare la degenerazione dell’intoppo identitario, quello che succede nell’adulto che si porta ancora addosso, selvaggiamente aggrappato, un bambino mai uscito dalla propria stanzetta. Vedo chiaramente in filigrana, nelle figure che voglio indagare – Gloria Rosboch, Gabriele Defilippi, Roberto Obert – questi bambini ancora sperduti, che cercano invano di fermare il tempo. Sono loro a interessarmi, sono loro il punto di partenza ; da quelle vite reali, da quella vicenda reale, prenderà le mosse un racconto nuovo, mai cronachistico, ma pieno anzi di aperture oniriche.
Bibliografia di riferimento
-Tutta la cronaca uscita su carta stampata, internet e canali televisivi sul caso Rosboch
-Ovidio, Metamorfosi
-Heiner Muller, Pezzo di cuore
-Alexander Lowen, Il narcisismo
-Rainer Werner Fassbinder, Teatrografia
Filmografia di riferimento
-La pianista, di Michael Haneke, 2001
-La paura mangia l’anima (1974), Un anno con 13 lune (1978) di Rainer Werner Fassbinder
Giuliano Scarpinato
(Palermo 1983) è attore, regista e drammaturgo. Nel 2006 si laurea in lettere moderne con una tesi sul teatro di Pier Paolo Pasolini. Nel 2009 si diploma presso la scuola per attori del Teatro Stabile di Torino fondata da Luca Ronconi e diretta da Mauro Avogadro. Prima e dopo la scuola partecipa a workshop con Antonio Latella, Marco Baliani, Arturo Cirillo, Alfonso Santagata, Ricci/Forte, Andrea Baracco, Mimmo Cuticchio, Susan Batson. In teatro lavora come attore, tra gli altri, con John Turturro (Italian Folktales), Carlo Cecchi (La dodicesima notte), Giancarlo Sepe (Jekyll e Hyde), Emma Dante (Verso Medea, La muta di Portici, Feuersnot), Marco Baliani (Un paese di nuvole e fiori), Daniele Salvo (Aiace, Edipo re, Re Lear, Gramsci a Turi), Cristina Pezzoli (Antigone), Carmelo Rifici (Fedra), Mauro Avogadro (L’incorruttibile, Tre De Musset). Nel 2011 riceve la segnalazione speciale della giuria al Premio Hystrio alla vocazione. Come regista debutta nel 2009, dirigendo i suoi colleghi di corso al Teatro Stabile di Torino in un allestimento de I ciechi di Maeterlink che va in scena per il Festival delle Colline Torinesi. Da qualche anno lavora nell’ambito del teatro ragazzi. Nel 2012 è finalista al Premio Scenario Infanzia con lo spettacolo La fortuna di Philèas, liberamente tratto dal libro illustrato “La grande fabbrica delle parole” di Agnes Delestrade e Valeria Docampo. Nel 2014 vince il Premio Scenario Infanzia con lo spettacolo Fa’afafine – mi chiamo Alex e sono un dinosauro, incentrato sulla vicenda di un “gender fluid child “ e dei suoi genitori; lo spettacolo, insignito del premio per aver affrontato, per la prima volta nel teatro ragazzi italiano, il delicato tema della diversità di genere, riceve in seguito anche il prestigioso Premio Infogiovani 2015 al Festival Internazionale del Teatro di Lugano, e l’Eolo Award 2016 come miglior spettacolo di Teatro Ragazzi e Giovani dell’anno. Nel 2015 dirige Elettra di Hugo von Hofmannsthal per il festival “Dionisiache”, nella splendida cornice del Tempio Dorico di Segesta; nel 2016 lo spettacolo vince il Premio Attilio Corsini nell’ambito della rassegna “salviamo i talenti” promossa dal Teatro Vittoria di Roma.
Gioia Salvatori
(Roma 1982) è attrice e autrice. Si forma presso il Centro Teatro Ateneo dell’ Università di Roma la Sapienza, dove studia Commedia dell’ Arte con Claudio De Maglio. Studia e lavora nel periodo successivo con Bruce Myers. Nel 2010-2011 studia e lavora al Teatro Due di Parma dove incontra il lavoro, tra gli altri, di Michela Lucenti e Gigi Dall’Aglio. In seguito collabora con alcuni giovani registi indipendenti tra cui Woody Neri, Maria Teresa Berardelli e Giuliano Scarpinato, con cui lavora allo spettacolo “Fa’afafine, mi chiamo Alex e sono un dinosauro” vincitore del Premio Scenario infanzia 2014. Al lavoro di attrice unisce quello di autrice per il teatro. Da circa due anni ha aperto un blog satirico da cui è tratto il suo ultimo spettacolo “Cuoro” per la regia di Giuseppe Roselli.
Michele Degirolamo
(Monopoli 1987) inizia i suoi studi teatrali all’età di 11 anni. Otto anni più tardi si trasferisce a Roma, dove studia per tre anni con Gisella Burinato. Segue poi workshop con Valerio Binasco, Pierfrancesco Favino, Jurij Ferrini, Stefania De Santis, Motus. Come protagonista, Michele fa il suo debutto in teatro a Roma nel 2007 con Mercury Fur, diretto da C. E. Lerici, e nel 2009 per la sua interpretazione in Masked – Legami di Sangue, di Maddalena Fallucchi, rientra nella terna dei finalisti de’ ”Gli Olimpici del teatro” per la categoria “Miglior attore emergente del teatro italiano”. Nel 2013 Michele interpreta il ruolo di protagonista nel film AMOREODIO, diretto da C. Scardigno, proiettato al ‘Festival del cinema internazionale di Montreal’ e poi al “Festival del cinema italiano”di Annecy, Francia. Prende parte a varie serie televisive, tra cui Don Matteo (2010, protagonista di puntata) e La Squadra (2012). Nel 2015/2016 recita in Aspettando Godot, regia di Maurizio Scaparro. Nello stesso anno è il protagonista di Fa’afafine – mi chiamo Alex e sono un dinosauro, diretto da Giuliano Scarpinato e vincitore del Premio Scenario Infanzia 2014, del Premio Infogiovani – Festival Internazionale del Teatro di Lugano 2015, e dell’Eolo Award 2016. Lo spettacolo, coprodotto da CSS – Teatro Stabile di Innovazione del Friuli Venezia Giulia e da Teatro Biondo – Palermo intraprenderà nel 2016/2017 il secondo anno di tournèe.
Francesca Turrini
Nasce a Sinalunga nel 1984. Inizia a lavorare giovanissima nella compagnia Corps rompu diretta da maria Claudia Massari. Nel 2006 viene ammessa alla scuola dello Stabile di Torino. Nel 2009, neodiplomata, è scritturata da Emma Dante per l’opera “Carmen”. Nel 2010 inizia la sua collaborazione con Civilleri/Lo Sicco, con cui porta in scena ” Educazione Fisica”. Nel 2013 lavora con la compagnia Carrozzeria Orfeo per lo spettacolo “Thanks for Vaselina”, oggi al suo terzo anno di tournèe. Lavora allo Stabile di Torino diretta da Jurji Ferrini e al Teatro dell’Elfo diretta da Frongia/Bruni. Nel 2015 lavora con Giuliano Scarpinato per lo spettacolo Elettra. Fonda, nel 2016 con Giuliano Scarpinato, Giulia Rupi, Elio D’Alessandro e Raffaele Musella la compagnia Wanderlust teatro. Il 2015 è l’anno del cinema. È coprotagonista nel film indipendente “Bestia” e ricopre il ruolo di Giovanna nel film di Paolo Virzì “La pazza gioia”, adesso al cinema. Ad ottobre uscirà “Piuma” di Roan Johnson dove ricopre il ruolo di Stella. Attualmente è diretta da Milani nel film “Mamma o papà?”.
Beatrice Schiros
E’ diplomata alla Scuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova. Lavora in teatro, tra gli altri, con G. Vacis (La rosa tatuata, Le Fenicie, Martirio, Romeo et Juliet), T. Conte (I Persiani, Il Decameron), M. Sciaccaluga (Il ventaglio di Lady Windermere), Serena Sinigaglia (Rosa la rossa, 1968, Donne in Parlamento, Settimo – la fabbrica e il lavoro, Italia anni 10), Antonio Zavatteri (Amleto, La bottega del caffè), Carrozzeria Orfeo (Idoli, Thanks for Vaselina, Animali da bar). In televisione prende parte a diverse produzioni: Cameracafè, Fuoriclasse, Provaci ancora Prof, Bentornato Nero Wolf. Al cinema è nel cast de “La pazza gioia” di Paolo Virzì.
Ciro Masella
Attore e regista, lavora con registi come Luca Ronconi, Massimo Castri, Gigi Dall’Aglio, Federico Tiezzi, Roberto Latini, Michele Sinisi, in spettacoli per il Teatro Stabile dell’Umbria, il Piccolo di Milano, il Teatro di Roma, l’Emilia Romagna Teatro, il Teatro Stabile Metastasio di Prato, il CSS di Udine, il Teatro Due di Parma, la Compagnia Lombardi-Tiezzi di Firenze, Carrozzeria Orfeo, Elsinor. Dirige spettacoli scritti per lui da Stefano Massini, Francesco Niccolini, Emanuele Aldrovandi e altri drammaturghi italiani. Nel 2003 fonda e da allora dirige il festival tra Cielo e Terra in Umbria e nel 2007 la Compagnia Uthopia, con la quale inizia un lavoro di studio e messa in scena quasi esclusivamente di autori contemporanei. Collabora con diverse Università ed unisce all’attività di palcoscenico quella didattica e di ricerca. Ha recitato per il cinema e per la televisione.
Daniele Salaris
(Chivasso 1982) è video maker e documentarista. I primi lavori come videomaker sono realizzati in Russia e in Polonia come reporter per Gay TV. Seguono i lavori come documentarista in Israele (Fuorifuoco, 2006, Vincitore del TFF – Spazio Torino) poi Turchia e Libano (The Beirut Apt, 2007). Nel 2008 è assistente alla direzione nell’edizione italiana di ViewFest, rassegna internazionale di cinemadigitale. Nel 2013 fonda Videostille, collettivo torinese di professionisti dei nuovi media, e inizia a produrre visual media e video scenografie per il teatro (Pupeide – Bettina balla il Boogie, di F. Puopolo; Fa’afafine – mi chiamo Alex e sono un dinosauro di Giuliano Scarpinato, vincitore Premio Scenario Infanzia 2014).